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Jonathan Littell

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Jonathan Littell

Jonathan Littell (1967 – vivente), scrittore statunitense naturalizzato francese.

Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, Corrieredelmezzogiorno.corriere.it, 2 marzo 2022

  • Putin deve la sua esistenza alla guerra; se sopravvive e prospera ancora oggi, lo deve alla guerra. Ma adesso una guerra, ce lo auguriamo, servirà finalmente ad annientarlo.
  • Tornai in Cecenia come operatore umanitario allo scoppio del secondo conflitto. Nel febbraio del 2000, trascorsi una serata in quella regione in compagnia di Sergey Kovalev, il grande paladino russo dei diritti umani, e gli rivolsi la domanda che era sulle labbra di tutti: chi era questo nuovo presidente sconosciuto? Chi era Putin? Ricordo ancora, a memoria, la risposta di Kovalev: «Giovanotto, vuoi sapere chi è Vladimir Putin? Vladimir Putin è un tenente colonnello del Kgb. E sai chi è un tenente colonnello del Kgb? Un signor nessuno».
  • Fisicamente, Putin è un uomo di bassa statura e certamente gli anni dell’infanzia, trascorsa nella Leningrado post bellica, devono essere stati molto duri per lui. Sicuramente gli hanno insegnato questa lezione: se sei piccolo di statura, colpisci per primo, colpisci forte e continua a colpire. I ragazzi più grandi e grossi impareranno a temerti, e saranno loro a fare un passo indietro. È una lezione che ha imparato a memoria. La spesa militare degli Usa nel 2021 è stata di circa 750 miliardi di dollari, quella complessiva di tutti i paesi europei non è arrivata ai 200 miliardi, e quella della Russia si è attestata intorno ai 65 miliardi di dollari. Eppure, Putin riesce a spaventarci molto di più di quanto non riusciamo a spaventarlo noi. Ha dalla sua il vantaggio di lottare come un topo spinto nell’angolo, non come i nostri ragazzi grassocci e indolenti, allevati a Coca-Cola, Instagram e 80 anni di pace in Europa.
  • L’Ucraina rappresenta il momento in cui Putin ha deciso finalmente di scoprire tutte le sue carte. È chiaramente convinto di essere forte abbastanza per sfidare apertamente l’Occidente, lanciando la prima campagna di invasione di uno stato sovrano in Europa, dal 1945 a oggi. E senza nessuna provocazione. Ed è convinto di avere la vittoria in tasca perché tutto quello che abbiamo fatto, o non abbiamo fatto, negli ultimi 22 anni, gli ha insegnato che siamo deboli.
  • Putin sembra addirittura credere alla sua stessa propaganda, quando si tratta dell’Ucraina. Credeva davvero che gli ucraini avrebbero accolto i «liberatori» russi a braccia aperte? Che si sarebbero arresi senza colpo ferire? Se così stavano le cose, si è sbagliato di grosso. Gli ucraini combattono, e benché inferiori per numero e armi, combattono con tutta l’anima. Insegnanti, impiegati, casalinghe, artisti, studenti, dj e drag queen, tutti imbracciano i fucili e sparano ai soldati russi, molti dei quali sono semplici ragazzi che non hanno la minima idea di che cosa sono andati a fare in quel posto.
  • La Russia si ritrova massicciamente isolata a livello internazionale, e la sua economia e le sue potenzialità ne risulteranno pesantemente penalizzate. Ma questo non basta. Fintanto che resterà al potere, Putin continuerà ad accanirsi, a spingersi oltre, e a seminare distruzione e morte sulla sua strada. Perché odia l’Occidente e perché il suo potere si fonda interamente sulla violenza: non sulla semplice minaccia, bensì sull’impiego sistematico della forza. È l’unico comportamento che conosce. Crediamo davvero che la sua minaccia nucleare sia un bluff? Possiamo permettercelo? Fintanto che Putin sarà al timone della Russia, nessuno sarà al sicuro. Nessuno.
  • L’unico modo per uscire da questa crisi è rendere il fallimento di Putin in Ucraina talmente devastante per la Russia e per i suoi legittimi interessi che la sua stessa élite non avrà altra scelta che quella di sbarazzarsi di lui.
  • La Russia merita la libertà, la stessa libertà che l’Ucraina ha saputo conquistarsi dolorosamente negli ultimi decenni. Un cessate il fuoco in Ucraina rappresenta il primo passo vitale e urgente, e il secondo sarà il ritiro completo delle truppe russe. Ma subito dopo, sarà Putin ad andarsene.

Corriere.it, 27 marzo 2022

  • C’è stato un periodo, negli anni Novanta, quando avete goduto di una certa libertà e di uno spiraglio di democrazia: caotica, certo, talvolta sanguinaria, ma vera. E invece il 1991 si è rivelato la fotocopia del 1917. Può fare vittime a milioni, il tiranno, eppure, per qualche motivo, per voi resta sempre la scelta più sicura. Come si spiega? È vero, ci sono stati molti errori. Anziché assaltare gli archivi del Kgb per far emergere i suoi segreti alla luce del giorno, come i tedeschi dell’Est hanno fatto con la Stasi, vi siete distratti davanti alla statua di Dzerzinskij e avete permesso al Kgb di restarsene acquattato nell’ombra per riorganizzarsi, ricostituirsi e riprendersi la Russia. Quando vi è stata presentata la scelta tra il saccheggio del Paese e il ritorno dei comunisti, non avete pensato di battervi per imporre una terza opzione, ma avete chinato il capo davanti alle razzie.
  • Ricordo benissimo quegli anni. Ero in Cecenia, tra i volontari che si prodigavano per recare aiuto alle innumerevoli vittime dell’«operazione anti terrorismo» voluta da Putin, tra le macerie di Groznyi, Katyr-Yurt, Itum-Kale e altre città. Di tanto in tanto tornavo a Mosca per riprender fiato, e ritrovavo gli amici alle feste. Si beveva, si ballava, e talvolta provavo a raccontarvi qualcosa degli orrori che avevo visto laggiù, i civili torturati, i bambini massacrati, i soldati che restituivano alle famiglie i corpi dei caduti in cambio di soldi, e voi mi dicevate: «Jonathan, siamo stanchi di sentir parlare della tua Cecenia». Ricordo ancora distintamente quelle parole. E allora andavo su tutte le furie: «Ragazzi, non è la mia Cecenia, è la vostra Cecenia. È il vostro maledetto Paese, non il mio. Io sono solo uno stupido forestiero qui tra voi. È il vostro governo che bombarda le vostre città e stermina i vostri concittadini». Ma niente, era troppo complicato, troppo doloroso, non volevate sentirne parlare.
  • Quando Putin ancora una volta si è scambiato le poltrone con Medvedev, sistemandosi nuovamente sul seggio presidenziale, molti di voi hanno visto in quella mossa l’ennesima mascalzonata, e siete scesi in piazza a protestare. Navalny si è fatto conoscere nel Paese e per sei mesi avete affollato le strade, facendo tremare il regime, scuotendolo dalla base. Ma la reazione non si è fatta attendere. Immediatamente, il regime ha organizzato le sue contromanifestazioni, per poi passare a leggi via via più repressive che hanno affollato le carceri. Siete stati arrestati a migliaia. Alcuni si sono visti infliggere lunghe pene detentive. Ma il resto ha rinunciato ed è tornato a casa. «Che altro avremmo potuto fare?» è la frase che ho sentito ripetere tante volte, e che ripetete ancora adesso. «Lo Stato è fortissimo, noi siamo deboli».
  • Quanti di voi hanno protestato per i ceceni, per i siriani o per gli ucraini? Alcuni di voi l’hanno fatto. Ma tanti, troppi, hanno taciuto. Alcuni, è vero, stanno protestando in questo momento, come Dmitry Glukhovsky, Mikhail Shishkin, Mikhail Zygar, Maksim Osipov e altri ancora. Molti fanno sentire la loro voce dall’estero, pochissimi dall’interno del Paese, come Marina Ovsyannikova, che non ha esitato davanti al rischio di andare a raggiungere Navalny nel Gulag. Riguardo agli altri, voi conoscete a fondo il vostro Paese, meglio di chiunque straniero. Pertanto sono convinto che siete ben consapevoli di questo: quando Putin avrà finito con gli ucraini — e peggio ancora, se non riuscirà a massacrarli tutti, come pare assai probabile — si accanirà su di voi.
  • Sappiamo da che parte soffia il vento. I giorni della bella vita in cambio del vostro silenzio sono finiti. Le vostre elezioni sono una farsa, le vostre leggi, a parte quelle repressive, non valgono la carta sulla quale sono scritte, le vostre ultime fonti di informazione indipendenti sono sparite, la vostra economia sta precipitando nel baratro più in fretta del tempo che mi occorre per scrivere queste righe, non potete più utilizzare le vostre carte di credito per comprare un biglietto aereo per fuggire dal Paese, ammesso che ci siano ancora voli consentiti. Oggi Putin non si accontenta più del vostro silenzio, ma reclama da voi anche consenso e complicità. E se non volete sottomettervi, cercate scampo nella fuga, in qualunque modo possibile, o resterete schiacciati. Altre possibilità? Dubito che ve ne siano.
  • In Siria, e oggi in Ucraina, Putin vuole mostrarvi con l’esempio quello che accade a un popolo che osa sfidare il suo khozein, e osa non solo chiedere la libertà, ma lotta per conquistarsela. Se non farete nulla, anche in quel caso le perdite saranno dolorose. E lo sapete. Vostro figlio azzarderà una battuta in una chat dei video giochi, e sarà arrestato. Vostra figlia esprimerà la sua indignazione su Internet, e sarà arrestata. Un vostro caro amico farà uno sbaglio e morirà in una squallida cella sotto i bastoni della polizia. È quanto sta accadendo ormai da anni, e continuerà ad accadere, e sempre più spesso, su scala sempre più vasta. Non avete altra scelta. Se non vi muovete, sapete già come andrà a finire. Adesso è il momento della vostra piazza Maidan. Siate audaci e scaltri, pianificate la vostra strategia, e trovate un modo per farcela.

Intervista di Roberta Scorranese sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, Corrieredelmezzogiorno.corriere.it, 28 marzo 2022

  • Nessuno in Ucraina si aspettava un attacco simile anche perché per decenni Europa e Stati Uniti hanno pensato che Putin si potesse mitigare. Putin si è convinto che siamo deboli, almeno se messi di fronte al suo concetto di forza. Anche perché per anni si è allenato sulle debolezze dei Paesi occidentali. Le ha coltivate, le ha studiate. Non mi ha mai convinto l’ipotesi della paranoia, a mio avviso è stato un leader lucidissimo nelle sue mosse.
  • Vladimir Putin in tutti questi anni ha giocato sul filo dell’ambiguità unita a un tentativo di normalizzazione. Una volta si è preso un pezzetto di territorio nel silenzio dell’Occidente, un’altra volta ha osato con la guerra ibrida, un’altra ancora è stato accusato di aver violato i diritti umani senza che questo diventasse un problema di tutti. Ogni volta, sui media occidentali, le mosse di Putin restavano un fatto confinato nella Russia, ma il nodo è che i diritti sono un problema di tutti.
  • [Com’è possibile che molti abbiano creduto alle parole di Putin quando ha ripetuto che l’Ucraina è un «covo di nazisti»?]
    Putin è un bugiardo. [...] Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è ebreo e, in aggiunta, parla russo. Dunque l’affermazione di Putin è quantomeno discutibile. È vero, in passato l’Ucraina si è schierata, almeno in parte, con i nazisti durante l’aggressione tedesca dell’Urss. Ma era soprattutto una reazione alle violenze staliniane.
  • Oggi ci sono sparute frange [in Ucraina] di quelli che molti chiamano "esponenti di estrema destra" ma che potrebbero benissimo essere assimilati tra le fila dei nazionalisti/sovranisti, un po’ come i seguaci di Matteo Salvini o di Marine Le Pen. Anti-immigrati, anti-gay, per capirci. E pensi che alle ultime elezioni ucraine non sono nemmeno entrati in Parlamento. Dunque, il nulla, altro che covo.
  • Ho studiato a lungo il linguaggio di Adolf Hitler e ritrovo lo stesso meccanismo in Putin, quello di un dittatore narcisista che trasferisce le proprie paure e le proprie insicurezze sulla storia. La sua persona diventa un fatto storico.
  • Quando ci fu il crollo dell’Urss in teoria quel momento avrebbe dovuto coincidere con la conquista di strumenti democratici, ma quel ricordo è costantemente associato alla povertà, alla perdita di lavoro, ai soldi che non valevano nulla. Ecco perché penso che quelli come Putin non abbiano paura dell’intellighenzia che scende in piazza o delle accuse di violazione dei diritti civili e umani, quanto della gente comune che marcia per la fame o per la perdita di lavoro.
  • [«Ha visto il documentario-intervista a Putin firmato qualche anno fa da Oliver Stone?»] No, è solo propaganda, non mi interessa.

Intervista di Roberta Scorranese sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, Corriere.it, 22 giugno 2022

  • Per Putin, come per il suo ministro Lavrov, la menzogna è al cuore stesso della sua formazione e rappresenta uno strumento naturale di lavoro. Il dialogo non serve ad altro che a prender tempo per far avanzare le sue pedine, prima di tornare alla forza bruta al momento opportuno. Un negoziato o un accordo – come quello di Minsk del 2015, che doveva metter fine al conflitto nel Donbass – altro non è che uno stratagemma per congelare una conquista, in attesa di un nuovo spiraglio opportuno per passare a nuove conquiste.
  • Se non ci fossimo mostrati così impotenti, così intimoriti, così ciechi, se avessimo riarmato l’Ucraina sin dal 2015, oppure inviato truppe NATO sul suo territorio, anche solo a titolo di consiglieri militari, mai e poi mai Putin – che capisce una sola legge, quella del più forte – si sarebbe arrischiato in questa guerra. Se gli si lascerà cogliere il minimo vantaggio dal conflitto in corso, non faremo altro che stabilire i presupposti per il prossimo.
  • Da decenni ormai una parte dell’Europa, a cominciare dalla Germania, ha affidato la sua sicurezza energetica a Mosca, beatamente ignorando gli avvertimenti degli scienziati sul clima, e respingendo ogni suggerimento di lasciarsi alle spalle i combustibili fossili. Quanto tempo sprecato, tutto a vantaggio della Russia.
  • Putin è un uomo che nel ventunesimo secolo ha scatenato una guerra del ventesimo secolo per raggiungere obiettivi del secolo diciannovesimo. Per lui, che oggi si paragona a Pietro il Grande, l’annessione completa dell’Ucraina è una questione esistenziale che non ha nulla a che vedere con le sue accuse deliranti contro la NATO. Per lui, l’Ucraina non deve più esistere, punto. E non ci sarà nessuna concessione, nessuna apertura diplomatica, nessun compromesso « ragionevole », da parte nostra, a impedirgli di raggiungere i suoi obiettivi, o a salvaguardare l’integrità territoriale, politica ed economica dell’Ucraina, o del suo avvenire europeo. Chiedere agli ucraini di deporre le armi e di negoziare un Minsk 3, 4 o 5, significa preparare il terreno a una nuova invasione dell’Ucraina tra qualche anno, concedendo a Putin il tempo necessario per riorganizzare il suo esercito e stoccare nuovamente uomini, armi e munizioni. E se muore nel frattempo, ma il regime gli sopravvive, il suo successore seguirà le sue orme.
  • Se c’è stato un 1918 per Mosca, si è trattato del 1991. In seguito, come in Germania dopo il fallimento di Weimar negli anni Trenta, il potere fascista e revanscista, e per di più profondamente corrotto, si è insediato definitivamente in Russia, schiacciando la società civile e le sue forze vitali, appropriandosi dell’intera economia del paese a suo esclusivo beneficio, e sfidando il mondo democratico e l’ordinamento sul quale è fondata la nostra pace e la nostra sicurezza collettiva. Oggi non è più il 1918, bensì il 1939. E come per il Terzo Reich di Hitler, il cammino verso la pace prima o poi esigerà il rovesciamento totale del regime di Putin, che non corrisponde affatto alla Russia e al suo popolo, a dispetto di quel che ne pensi « l’Occidente collettivo ». Solo una Russia libera, democratica e governata dai suoi cittadini, non da una cricca mafiosa inebriata di ideali messianici, potrà rientrare nel consesso delle nazioni e diventare a pieno titolo un membro della comunità internazionale, come sono riusciti a fare, dopo il 1945, Germania e Giappone.
  • Il compromesso è spesso necessario, ma in questa situazione sarebbe una catastrofe per il sogno europeo e altro non farebbe che attizzare ancora di più le ambizioni di Putin. Solo la sconfitta militare completa delle forze russe in Ucraina potrà restituire una parvenza di sicurezza al continente. E solo sulla base di una sconfitta della Russia si potranno intavolare trattative e siglare accordi che avranno una qualche possibilità di rivelarsi duraturi.
  • In realtà, Putin si umilia da solo, con la sua ambizione di sedersi tra i grandi della terra, senza rispettarne però le regole più elementari ; disprezzando e violando i diritti dei popoli quando ne va del suo tornaconto, come si è visto in Cecenia, in Georgia, in Siria, e oggi in Ucraina ; e scatenando una guerra con un esercito patetico, inetto, arcaico, e per di più depredato e affamato dai suoi generali. Se veramente ce l’ha con noi per tutto questo, se ce l’ha con noi a morte, non siamo affatto obbligati a presentargli le scuse : abbiamo invece il dovere di infliggergli una buona lezione e rispedirlo al suo posto, il posto che si è scelto di sua propria volontà.

Incipit di Le benevole

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Fratelli umani, lasciate che vi racconti com'è andata. Non siamo tuoi fratelli, ribatterete voi, e non vogliamo saperlo. Ed è ben vero che si tratta di una storia cupa, ma anche edificante, un vero racconto morale, ve l'assicuro. Rischia di essere un po' lungo, in fondo sono successe tante cose, ma se per caso non andate troppo di fretta, con un po' di fortuna troverete il tempo. E poi vi riguarda: vedrete che vi riguarda.[1]

Note

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  1. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

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