Paolo Abriani

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Paolo Abriani (Vicenza, 1607Venezia, 1699) è stato un religioso, poeta e traduttore italiano, a venti anni entrò nell'Ordine carmelitano, dove studiò filosofia, filologia, teologia e prese il nome di Francesco.

Fu un poeta marinista. Si esercitò nella predicazione e, nel 1638, divenne Maestro; ebbe la reggenza di Cremolino, diocesi di Acqui e poi quella di Genova, Verona, Padova e Vicenza. Dopo il 1654 uscì dal suo ordine e, come prete, riprese il nome di Paolo.

Tradusse le Odi e l'Ars poetica di Quinto Orazio Flacco, stampata dal Valvasense nel 1687 a Venezia e la Pharsalia di Marco Anneo Lucano. Lasciò due libretti di lettere, il Vaglio e un'aggiunta di mille e più voci al Memoriale della lingua di Jacopo Pergamini, il primo dizionario europeo moderno fornito di definizioni, che Abriani completò con autori moderni da Claudio Achillini a Daniello Bartoli, da Fulvio Testi a Girolamo Graziani.[1]

Le sue prove più valide sono considerate le traduzioni di Orazio (Arte poetica e Ode) e di Lucano (Farsalia).

«Come traduttore, è cosa notevole che sia talora da rimproverargli la troppo letterale fedeltà, quando erano in uso lunghe parafrasi che diluivano il testo miseramente. Nel suo Orazio, senza trovar tutto bello, credo però difficile e assai difficile il far meglio; se poi si guardi alla metrica, egli è il primo, noto fino ad ora, che abbia messo fuori un volume di odi barbare; e, se non altro, nella storia dei tentativi per accostarsi ai metri antichi, a lui spetta un posto principalissimo»[2]

In piena epoca barocca, Abriani inaugura un modo nuovo di rendere i classici, lontano dal metodo parafrastico del tradurre fatto di abbellimenti gratuiti, di aggiunte, di variazioni che aveva caratterizzato i volgarizzamenti di Virgilio e Ovidio del medio e del tardo Cinquecento ed estraneo alla competizione a oltranza col testo antico realizzata, sul piano della lingua, del verso e dello stile, dalla traduzione del primo Seicento. «Pur senza condannarle, riconoscendone anzi in alcuni casi la piacevolezza e l’eccellenza dei risultati, egli delegittima come non-traduzioni l’«espositioni parafrastiche» che tanto credito trovavano presso i volgarizzatori contemporanei dei classici greci e latini, o inclini a portare alle estreme conseguenze la pratica cinquecentesca dell’orator assai più che a obbedire alle istanze della brevitas, sperimentando in proprio le nuove modalità del tradurre inaugurate in Italia fin dal 1637 da Bernardo Davanzati nella resa di Tacito.»[3] La sua Arte poetica d’Horatio, pubblicata con testo latino a fronte nel 1663 (Venezia, Valvasense), come anche le Ode del 1680 che la ristampano (pure Venezia, Valvasense), sono volte a riprendere il poeta latino «nella sua purità», riformulandone il dettato in un «ordine di metro» simile e in «egual numero di sillabe, e sovente minore».[4] Sobrie ed eleganti le traduzioni, connotate da modesti compensi esornativi e da lievi mutamenti formali. L’Arte poetica, nella princeps del ‘63, è preceduta da un’epistola dedicatoria a Camillo Pamphili e ai figli di lui, Giovanni Battista e Benedetto, e seguita da quaranta brevi Annotazioni, che non verranno riproposte nella ristampa dell’80 e che vedono il poeta vicentino assumere in parte anche le vesti dello “spositore”, impegnato in spiegazioni sintetiche di singoli luoghi oraziani, nel glossare lessemi, nell’azzardare etimologie. La maniera tenuta dall’Abriani nel rendere Orazio «nella sua purità» verrà del tutto rimossa dai volgarizzatori degli ultimi decenni del Seicento, che si atterranno alla prassi barocca guardata con sospetto dal poeta vicentino, aderendo in tutto e per tutto a quel metodo parafrastico del tradurre, migliorando l’originale e anzi competendo con esso, che egli aveva mostrato di rifiutare opponendogli misure discrete e classiche di scrittura. A quel metodo si ispirano, nella traduzione poetica oraziana, le Poesie liriche di Federigo Nomi, le Ode di Antonio Cappone e l’Arte poetica moralizzata di Loreto Mattei.[5]

  1. ^ Sergio Lubello, Giacomo Pergamini, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 1, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1960. URL consultato il 2 giugno 2012.
  2. ^ Domenico Gnoli, Vecchie odi barbare e traduttori di Orazio, in Nuova Antologia, 15 dicembre 1878, e in Studi letterari, Bologna, Zanichelli 1883.
  3. ^ Luciana Borsetto, La poetica d’Horatio tradotta - Contributo allo studio della ricezione oraziana tra rinascimento e barocco, in Orazio e la letteratura italiana. Contributi alla storia della fortuna del poeta latino, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1994, p. 205.
  4. ^ Gaetano Curcio, Q. Orazio Flacco: studiato in Italia dal secolo XIII al XVIII, F. Battiato, 1913, p. 226.
    «Il Davanzati avea gareggiato con Tacito, ed ora l'Abriani si propone di rendere italiano il lirico latino «con simil ordine di metro, et ugual numero di sillabe, e sovente minore». Al benigno lettore, dopo aver detto che la sua traduzione è fedele, e che non intende tacciar punto l’esposizioni parafrastiche «però che molte se ne trovano dell’eccellenti; ma queste veramente non possono chiamarsi traduttioni» egli fa questa avvertenza: «Anzi dirò liberamente, che chiunque alle traduzioni vuol aggiungere del suo, perdit, come suol dirsi, oleum et operam, essendo certo che l'opera tradotta con parafrasi et amplificationi, non è assolutamente di chi traduce, perché in effetto la materia fondamentale, cioè l'inventione, non è sua: né meno è del tradotto, perché il suo stile è totalmente trasformato.»»
  5. ^ Orazio: enciclopedia oraziana, volume 3, Istituto della Enciclopedia italiana, 1998, pagina 82.
  • Ferdinand-Camille Dreyfus, Marcellin Berthelot (a cura di), Abriani (Paul), in La Grande Encyclopédie, vol. 1, Henri Lamirault, 1886, p. 140.
  • Giusto Fontanini, Biblioteca dell'eloquenza italiana, con le annotazioni del signor Apostolo Zeno, I, Venezia 1753, pp. 80, 330-331;
  • Giammaria Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 1, Brescia 1753, pp. 27-28;
  • Angiolgabriello di S. Maria, Biblioteca e storia di quei scrittori così della città come del territorio di Vicenza...,VI, Vicenza 1782, pp. CLI-CLV;
  • Domenico Gnoli, Vecchie odi barbare e traduzioni d'Orazio, in Studi letterari,Bologna 1883, pp. 375-379, 390;
  • U. Inchiostri, Paolo Abriani (traduttore d'Orazio del sec. XVII), in Veglie letterarie, Zara 1888, pp. 83-112;
  • Umberto Cosmo, Le polemiche tassesche, la Crusca e Dante, in Giornale storico della letteratura italiana, XLII (1903), p. 143;
  • Gioacchino Brognoligo, Un professore del Seicento, Genova 1907;
  • Giuseppe Lovascio, Un secentista, Paolo Abriani vicentino, Terlizzi 1907;
  • Gaetano Curcio, Q. Orazio Flacco studiato in Italia dal secolo XIII al XVIII, Catania 1913, pp. 225 ss.;
  • Filippo Argelati, Biblioteca degli volgarizzatori..., II, Milano 1767, p. 348; III, ibid. 1767, pp. 95–96.

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