Museo di Ennigaldi-Nanna
Museo di Ennigaldi-Nanna | |
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Scavi archeologici nel parco del palazzo | |
Ubicazione | |
Stato | Iraq |
Località | Antico Ur |
Coordinate | 30°57′42″N 46°06′19″E |
Caratteristiche | |
Tipo | Artefatti mesopotamici |
Istituzione | Circa 530 a.C. |
Fondatori | Principessa Ennigaldi |
Chiusura | V secolo a.C. |
Il museo di Ennigaldi-Nanna è considerato il primo museo da alcuni storici, anche se questa è solo una ipotesi. Risale al 530 a.C. circa.[1][2][3][4] Il curatore era la principessa Ennigaldi, figlia di Nabonide, ultimo re dell'Impero neo-babilonese.[5] Si trovava nello stato di Ur, situato nell'odierno governatorato di Dhi Qar in Iraq, a circa 150 metri a sud-est della famosa Ziggurat di Ur.[6]
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Quando gli archeologi hanno scavato alcune parti del palazzo e del complesso del tempio a Ur hanno stabilito che le decine di manufatti, disposti ordinatamente uno accanto all'altro, con età che differivano tra loro di alcuni secoli, erano in realtà pezzi da museo, dato che erano accompagnati da quelle che alla fine sono state definite "etichette da museo". Si trattava di tamburi cilindrici in argilla con etichette in tre lingue diverse.[4] Il padre di Ennigaldi, Nabonidus, antiquario e restauratore di antichità, le insegnò ad apprezzare i manufatti antichi.[3] Suo padre è conosciuto come il primo archeologo e la sua influenza portò Ennigaldi a creare il suo museo didattico dell'antichità.[1]
L'area del palazzo che comprendeva il museo si trovava nell'antico edificio chiamato E-Gig-Par, dove si trovavano anche i suoi alloggi.[7] L'area del palazzo comprendeva anche alcuni edifici secondari.[4][8][9]
Contenuto
[modifica | modifica wikitesto]Quando l'archeologo Leonard Woolley portò alla luce le rovine del museo, si scoprì che il suo contenuto era etichettato, utilizzando tavolette e tamburi di argilla.[10] Molti dei reperti erano stati originariamente scavati da Nabonidus, il padre di Ennigaldi, e risalivano al XX secolo a.C. Alcuni di questi manufatti erano stati in precedenza raccolti da Nabucodonosor II.[9] Si pensa che qualche reperto sia stato portato alla luce dalla stessa Ennigaldi. Gli oggetti avevano molti secoli di vita già all'epoca di Ennigald e provenivano dalle regioni meridionali della Mesopotamia.[3]
Ennigaldi mise i manufatti in un tempio vicino al palazzo dove viveva.[3] Utilizzò i pezzi del museo per spiegare la storia della zona e per interpretare gli aspetti materiali del patrimonio della sua dinastia.[10]
Le "etichette da museo" (le più antiche conosciute dagli storici) degli oggetti rinvenuti nel museo erano costituite da cilindri di argilla con testi descrittivi in tre lingue diverse.[6][11] Alcuni di questi manufatti erano:
- un kudurru, marcatore di confine Kassite (scolpito con un serpente ed emblemi di vari dei);
- parte di una statua di re Shulgi;
- un cono di argilla che aveva fatto parte di un edificio a Larsa[2].
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b Anzovin e Podell, p. 69.
- ^ a b Casey, p. "Public Museum".
- ^ a b c d Harvey, p. 20.
- ^ a b c León, pp. 36–37.
- ^ McIntosch, p. 4.
- ^ a b Woolley, pp. 252–259.
- ^ Woolley, p. 235.
- ^ HarperCollins, p. 23.
- ^ a b Nash e Feinman, p. 12.
- ^ a b Encyclopaedia Britannica Inc., Volume 2, p. 481.
- ^ (EN) The excavations at Ur of the Chaldees, su www.sacred-texts.com. URL consultato il 12 novembre 2018.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) Steven Anzovin e Janet Podell, Famous first facts, international edition : a record of first happenings, discoveries, and inventions in world history, New York, H.W. Wilson, 2000, ISBN 0-8242-0958-3, OCLC 43109839. URL consultato il 12 novembre 2018.
- (EN) Encyclopaedia Britannica Inc., The new encyclopaedia Britannica, 15ª ed., Chicago, Encyclopaedia Britannica, 1997, ISBN 0-85229-633-9, OCLC 35581195. URL consultato il 12 novembre 2018.
- (EN) W. Wilson Casey, Firsts : origins of everyday things that changed the world, New York; Londra, Alpha, 2009, ISBN 1-59257-924-8, OCLC 432407790. URL consultato il 12 novembre 2018.
- (EN) HarperCollins, Past worlds : HarperCollins atlas of archaeology, Londra, HarperCollins, 1997, ISBN 0-7230-1005-6, OCLC 38128739. URL consultato il 13 novembre 2018.
- (EN) Edmund H. Harvey, Reader's Digest book of facts, Pleasantville, Reader's Digest Association, 1987, ISBN 0-89577-256-6, OCLC 14904594. URL consultato il 13 novembre 2018.
- (EN) Vicki León, Uppity women of ancient times, Berkeley, Conari Press, 1995, ISBN 1-57324-010-9, OCLC 32666231. URL consultato il 13 novembre 2018.
- (EN) Jane R. MacIntosh, The practical archaeologist : how we know what we know about the past, Turtleback Books, 1º settembre 1999, ISBN 0-613-29324-X.
- (EN) Leonard Woolley, Ur 'of the Chaldees', Londra, Herbert, 1982, ISBN 0-906969-21-2, OCLC 12460122. URL consultato il 13 novembre 2018.
- (EN) Leonard Woolley, Excavations at Ur: a record of twelve years' work, Ernest Benn Limited, 1955. URL consultato il 13 novembre 2018.
- (EN) Stephen Edward Nash e Gary M. Feinman, Curators, collections, and contexts: anthropology at the Field Museum, 1893-2002, in Fieldiana: Anthropology, vol. 36, Chicago, Field Museum of Natural History, 2003, OCLC 441638174. URL consultato il 13 novembre 2018.