38. La strada i più si fanno col bastone;
Altri la guida segue d’un suo cane;
Chi canta a piè d’un uscio un’orazione,
E fa scorci di bocca e voci strane;
Chi suona il ribecchin, chi il colascione;
Così tutti si van buscando il pane.
Han per insegna il diavol de’ Tarocchi1,
Che vuol tentar un forno pien di gnocchi. 39. Dietro al Duca, che ognun guarda a traverso,
Vanno cantando l’aria di Scappino2:
Ma non giunsero al fin del terzo verso,
Che venuto alla donna il moscherino,
Fatto a Bieco un rabbuffo a modo e a verso,
Gli disse: S’io v’alloggio, dimmi Nino3;
Perch’io non veddi mai in vita mia
Pigliare i ciechi4, fuor che all’osteria. 40. Signora, rispos’egli, benchè cieca,
Fu però sempre simil gente sgherra:
Con quel batocchio zomba a mosca cieca,
Senza riguardo, come dare5 in terra:
Sott’ogni colpo intrepida s’arreca,
Che non vede i perigli della guerra:
È cieca, è ver; ma pure il pan pepato6
È più forte, se d’occhi egli è privato.
↑St. 38. Tarocchi. Certe carte da giuoco, in una delle quali è effigiato il diavolo. Vedi c. VIII, 61 x 1
↑Quando si cita il canto e la stanza, s'intende anche citare le note della medesima
↑St. 39. L’aria di Scappino era una canzonetta che cantavano i ciechi in Piazza della Signoria a’ tempi dell’autore. (Nota transclusa da pagina 83)
↑Dimmi Nino. Dimmi pazzo, come fu Nino che, ceduto il regno per un giorno a Semiramide, fu da lei fatto uccidere. (Nota transclusa da pagina 83)
↑Pigliare i ciechi per farli cantare. (Nota transclusa da pagina 83)
↑St. 40. Dare. Percuotere. (Nota transclusa da pagina 83)
↑Il pan pepato si fa con molti aromati e canditi che, nel tagliarlo, restano come occhi in quella pasta scura. Cavati questi occhi che son dolci, il resto è più frizzante e acre, forte. (Nota transclusa da pagina 83)