20. Paolin cieco1, il qual non ha suoi pari
Nel fare in piazza giocolare i cani,
E vende l’operette ed i lunari,
E proprio ha genio a star co’ ciarlatani,
Pensato ch’ei farebbe gran denari
Se quel bestion venisse alle sue mani,
Perch’avrebbe a mostrarsi quel gigante
Più calca che non ebbe l’elefante2; 21. Così presa fra sè risoluzione,
Va in corte a Bieco e lo conduce fuora:
Gli dice il suo pensiero e lo dispone
A chieder il gigante a Celidora;
E Bieco andato a ritrovar Baldone
Tanto l’insipillò3, ch’allora allora
Ei corre alla cugina e gliene chiede,
Ed ella volentier glielo concede. 22. Ed ei lo dona a Bieco e a Paolino
Col carro e tutte l’altre appartenenze;
Ed eglino con tutto quel traíno4,
Fatte col duca già le dipartenze,
Si messero di subito in cammino
Indrizzati alla volta di Firenze;
Poi giuntì là di buona compagnia
Fermansi in piazza della Signoria.
↑St. 21 Paolin cieco.ecc. Vedi c. XI, 22. (Nota transclusa da pagina 475)
↑L'elefante. Parla di un elefante che fu condotto in Firenze ai tempi dell’autore. (Nota transclusa da pagina 475)
↑St. 21 Inspillò. Pregò instantemente, stimolò. (Nota transclusa da pagina 475)
↑St. 22 Traìno. Comunemente Tráino. (Nota transclusa da pagina 475)