Juvenilia/Libro V/Alla Musa odiernissima
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LXXV.
ALLA MUSA ODIERNISSIMA
O monna tu, ch’io non so qual tu sia
Tanto se’ in vista difformata e strana,
Monna Clio, monna Ascrea, monna befana,
4O monna dal malan che Dio ti dia;
A la croce di Dio, tu se’ .....
Se t’acconci a chi vuole in su la via;
E se ne mente la mitologia
8Che giurò su ’l candor di tua sottana.
Poi che ti presti ogni or’ mattina e sera
A tutte voglie d’ogni razza ingordi,
11Tornata di regina in paltoniera;
O sciagurata, fa che ti ricordi
A chi tu fosti ed a chi se’ mogliera
14Onde per te mi fremono i precordi.
Anime al ben concordi
Già ti levâr d’ogni bel pregio in cima:
17Or ti preme ciascun, ciascun t’adima.
Non si può dir per rima
Quanto sia cattivello e piccolino
20Questo gentame ch’ora t’ha in domino.
Qual vien ruttando il vino
Sovra il tuo petto; e l’anima imbriaca
23Urla l’idillio, e la canzon si placa.
Qui Geremia s’indraca,
E i cembali sonando in colombaia
26Vagisce la bestemmia, il pianto abbaia.
Un altro, ecco, si sdraia,
Nel verso sciolto, e ci fa un voltolone,
29Come somaro dentro il polverone.
Ben venga il bambolone
Che non iscompagnato ancor dal latte
32Bela, e pur con Melpomene combatte.
In van la si dibatte
Tra le man del piccino: ella n’è stracca,
35Ed ei rimesta le tragedie a macca.
Il chierichetto insacca
Pur nel tuo tempio, e sa di sagrestia
38E di mòccoli spenti e d’eresia:
Con lirica bugia
Gorgoglia l’inno, e struggesi di frega
41Meditando il bordello e la bottega.
Ve’ colui che si frega
A l’epopeia, e, perché troppo è lunga,
44La concia sì, che al suo termine giunga.
Come par che la punga
E la cincischi sì che il sangue spicci!
47E poi le aggiusta il parruccone a ricci.
Al fin par che s’appicci
Il divin corpo al corpicciuol digiuno,
50E camminando son né due né uno.
Iscarmigliato e bruno
Or si fa oltre Gracco: il pecorino
53Cuor gli tentenna come il personcino.
Da l’eliso divino
Inchínati a costui, nonno Catone.
56Ch’ha sempre in bocca una rivoluzione.
È un repubblicanone
Che ingozza prima la sua libbra buona
59Di mazzinïanissima prosona,
Poi tuona e tuona e tuona.
A udir quell’omaccino armipotente
62Isbigottisce la povera gente,
E dice: Veramente
Cotestui studia per le invenzïoni
65Di verseggiar le bombarde e i cannoni.
In decasillaboni
Egli squaderna co’ profeti santi
68Ippopotami neri e lïonfanti,
E sopravi giganti
Che vanno armati di monti e montagne
71A imbottar nebbia per queste campagne:
Ma poi grugnisce e piagne,
Quando tornato al cristïan suo core
74S’inginocchia davanti al confessore.
Deh quanto è gran dolore
Del tristo punto ove condotta sei,
77O tósca Musa già cara a gli dèi,
Da questi uomini rei
Che ad ogni voglia lor buona o non buona
80Adoperano pur la tua persona.
Non che rotta la zona,
È t’ han diserto i piú gentili arredi:
83E infantocciata come tu ti vedi,
Dal capo infino a’ piedi,
Ti mandano accattando in su ’l sentiero.
86Ov’è il regal paludamento altiero?
Or se’ tu da dovero
Che a l’universo descrivesti fondo
89E fosti prima poesia del mondo?
Or è questo il giocondo
E nobil sen del quale a’ dí piú tardi
92Si nutriva il gran cor del Leopardi?
Ah, no! tu di codardi
Se’ madre e sposa: or ti conosco io tutta,
95O barattiera svergognata putta.
Deh via, sudicia e brutta,
Lascia, via, di menar tanto fracasso;
98Uccella a’ barbagianni, e statti in chiasso.