Juvenilia/Il Vaticinio
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O patria, O divûm domus Ilium, et inclyta bello
Moenïa dardanidùm!
Aenead. II. 241.
Mentre solcando d’Anfitrite i piani
Il frigio predatore
Di Laomedonte a’ lari empio traea
Varie di amor l’adultera ledea;
5Scossa da un sacro orrore
E preda agli euri abbandonata il crine,
Su le patrie ruine
E l’incalzar di fati ancor lontani
Gemea gemea la mesta
10Cassandra, e la funesta
Voce nunzia di mali ahi non creduti
Negli atrii ancor non muti
Del suon degl’imenei giva sciogliendo
A tal di sangue vaticinio orrendo
15Deh! ripiega, pastor, le infami vele
De l’Atride a le braccia,
Deh! radduci costei. Ve’ qual di guerra
Nembo caliga su la nostra terra!
Già già lo scudo imbraccia
20Gradivo e affuoca il siciliano brando:
E’n lui tutto versando
Il tartareo venen Furia crudele
Gli allaccia il grande usbergo.
Già su noi piomba: a tergo
25Mugge de’ figli suoi lo stuolo audace;
E la sanguigna face
Alto levando, Aletto anguicrinita,
Ilio, le sacre tue rocche gli addita.
Oh! Qual di guerra ferve alto ululato:
30Qual nitrir di destrieri,
Qual peregrino suon d’aspri metalli
Ti ferma, o Simoi, per le patrie valli!
E quel di Achei guerrieri
Quel diluvio che i nostri campi innonda
35Che vuol? Qual fatto è sponda
Al danäo furor di dritto armato?
Ahi! Che su l’ilie porte
Semini strage e morte,
Divin ferro di Ftia di piaghe fabro:
40E a l’assetato labro
Del fuggente al terror Troiano esangue
Meni, o patrio Scamandro, onda di sangue.
Chiuse il candor de’ membri in atro manto,
E su ’l vergine petto,
45Sospir d’amanti, il crine abbandonate,
perché danze e imenei da ’l cor sgombrate?
Figlie di Troia, il tetto
Devoto e l’ara sorda Erinni tiene;
Ed a la Dea non viene,
50Ch’Ilio in campo minaccia, il vostro pianto;
Né puote umana voce
Piegar de la feroce
Armipotente il crudo petto e l’ira.
O Dei! Come vi mira
55Volgendo gli occhi in sanguinose rote,
E la gran lancia crolla e l’elmo scote!
E tu adultero vil solo, tra il lutto
De’ tuoi, dentro la vòta
Squallida reggia, a la tua druda in braccio,
60Farai di rose al crin leggiadro impaccio?
Mentre su Priamo immota
La legge sta de l’inimico fato,
Nel talamo odorato
Scamperai, vil, de l’aste argive il flutto?
65Secoli e genti, ei sia
De la prosapia mia
Rampollo senza gloria e senza vanti:
nè vate eterno canti
Come Nemesi ’l colse, allor che al fine
70Prostrò dentro ’l suo sangue il molle crine.
Ombre de’ padri miei, voi da li avelli
Il destriero nemico
E dal sonno di morte, ah fia che deste!
E questi sacri penetrali e queste
75Are ed il lauro antico
Che ad Apollo esorando abbraccio in vano,
Bagna il sangue troiano,
Di Priamo il sangue, il sangue de’ fratelli.
Tu cadi, Ilio divina:
80E su la tua ruina
Tratta pe ’l crin fra militar trofei,
O città de gli Dei,
Io grido a te: patria di Ettorre mio,
Patria di Priamo e de’ miei padri, a dio.
85Ma perche squarci a l’atterrita mente,
Febo crudele, il velo
Che tanti mali mi ascondeva, e, trista!,
A l’orror mi togliea de l’empia vista?
Ecco: di fiamme il cielo
90Cupamente a l’intorno arde e rosseggia:
Ampio già signoreggia
Il foro, e tutto avvolge Ilio cadente.
Dei crudeli, gioite:
È vinta la gran lite.
95Perfido Giove e ingrato anch’ei non cura
D’Elettra sua le mura:
E ne’ decreti il Fato ha scritto come
Fu d’Ilio un giorno, or vota larva e nome.
E voi che cerchio fate a la funesta
100Profetessa di mali,
Iliache donne, per le argée convalli
A gli Achivi fatali
Pascerete con molli archi i cavalli. —
Dicea Cassandra: e discioglieano intanto
105Le vergini priamée d’amore un canto.
1850. 13 Febbraio. Firenze. — Ritoccata nel Marzo e Novembre 1852, in Firenze e in Celle.