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Riflessi (ed enigmi) in una sfera di vetro.

2020, Medioevo, 279 (2020), pp. 12-16

Una paternità discussa

Ne scaturí una dibattuta expertise internazionale circa la sua ancora non del tutto risolta attribuzione a Leonardo da Vinci, che tuttavia non impedí alla tavola d'essere offerta in vendita a New York, dalla casa d'aste Chtistie's, il 15 novembre 2017, ed essere aggiudicata per poco piú di 450 milioni di dollari.

Riflessi (ed enigmi) in una sfera di vetro ICONOGRAFIA • La tavola raffigurante il Cristo come Salvator Mundi ha fatto parlare di sé per l'astronomica cifra alla quale è stata venduta. Ma l'opera, attribuita a Leonardo da Vinci, solleva piú di un interrogativo intrigante...

Sulle due pagine Salvator Mundi, olio su tavola attribuito a Leonardo da Vinci. 1499 circa. Collezione privata. Nel particolare (qui sopra) il globo in vetro retto dal Cristo nella mano sinistra la cui presenza, in questo caso, potrebbe non essere la semplice citazione di uno strumento scientifico, ma alludere all'unitarietà della creazione divina. Una cifra che, a oggi, è la piú alta mai pagata per un dipinto. Nello scorso dicembre, sulla scorta di tali presupposti, un gruppo di ricerca dell'Università di Irvine, Los Angeles, California (UCLA) ha tentato di dimostrare, con una ricostruzione digitale, come il magnetico globo nella mano del Salvator Mundi non sia in calcite, come ipotizzato in precedenza, bensí vitreo, avente una superficie spessa poco piú di 1 cm, e riempito d'acqua: si tratterebbe, pertanto, di una peculiare lente sferica, utilizzata fin dall'evo antico per migliorare la visione. Simili strumenti ottici erano sicuramente noti e delle loro proprietà era ben consapevole Leonardo, il quale ne cita, tra i suoi appunti, anche una derivazione di sua invenzione: un apparato utilizzato come sistema di illuminazione, un prototipo di lampada a olio, che egli stesso aveva messo a punto durante il soggiorno milanese presso la corte di Ludovico (1250 circa-dopo il 1310). Che queste sfere fossero piuttosto comuni sembrano suggerirlo alcune righe del De remediis utriusque fortunae di Francesco Petrarca (1304-1374), ove, trattando della senescenza, l'autore cita il già menzionato passaggio di Seneca, tratto dal I libro delle Naturales questiones, sull'uso di globi che ingrandiscono oggetti e scritte il Moro. Doveva trattarsi di una sfera riempita d'acqua, che, grazie alla superficie esterna convessa, era in grado di diffondere la luce prodotta dallo stoppino posto in un cilindro all'interno dello stesso globo, che fungeva da lente d'ingrandimento. Ripercorrendo la storia di questa varietà di globo, Lucio Anneo Seneca (attivo nel I secolo d.C.), rifacendosi probabilmente a Pitagora (VI secolo a.C.) e/o Archimede (287-212 a.C.), riporta e dimostra il suo uso assai comune nelle Naturales Questiones (Lib. I, 6.5): «Ho già detto che ci sono specchi che aumentano ogni oggetto che riflettono. Aggiungo che tutto è molto piú grande quando lo guardi attraverso l'acqua. Le lettere, per quanto minuscole e oscure, sono viste piú grandi e chiaramente attraverso una palla piena d'acqua». Questo strumento non va però confuso con un altro, citato da Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) nella Naturalis Historia: qui, infatti, il riferimento è a globi vitrei incandescenti per cauterizzare le ferite e viene altresí sottolineato come il vetro potesse sopportare il calore in quanto riempito con acqua (Lib. XXXVII, 10).