Conflitto di Casamance
Conflitto della Casamance | |||
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Murale a Oussouye che avverte la presenza di mine antiuomo nell'area. | |||
Data | 1982 - 1º maggio 2014 2015 - presente (conflitto a bassa intensità) | ||
Luogo | Casamance, Senegal | ||
Casus belli | Indipendentismo della Casamance | ||
Esito | Cessate il fuoco unilaterale, violenze a bassa intensità | ||
Schieramenti | |||
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Comandanti | |||
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Effettivi | |||
Perdite | |||
Totale di 5000 uccisi dal 1982[3] | |||
60000 sfollati interni[4] | |||
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Il conflitto di Casamance è un conflitto di basso livello in corso che è stato condotto tra il governo del Senegal e il Movimento delle forze democratiche della Casamance (MFDC) dal 1982. Il 1º maggio 2014 il leader dell'MFDC ha chiesto la tregua e ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale.
L'MFDC ha chiesto l'indipendenza della regione della Casamance, la cui popolazione è religiosamente ed etnicamente distinta dal resto del Senegal.[5] Gli anni più sanguinosi del conflitto sono stati durante il periodo 1992-2001 e hanno provocato oltre un migliaio di morti.[5]
Il 30 dicembre 2004 è stato raggiunto un accordo tra l'MFDC e il governo che ha promesso di fornire l'integrazione volontaria dei combattenti dell'MFDC nelle forze paramilitari del paese, programmi di ripresa economica per la Casamance, sminamento e aiuti al ritorno dei rifugiati.[5] Tuttavia, alcune fazioni intransigenti dell'MFDC hanno presto disertato dagli elementi dell'MFDC che avevano firmato l'accordo interrompendo[6] così le trattative.[5]
I combattimenti sono emersi nuovamente nel 2010 e nel 2011 ma sono diminuiti dopo l'elezione di Macky Sall nell'aprile 2012. I negoziati di pace sotto gli auspici della comunità di Sant'Egidio si sono svolti a Roma e il 14 dicembre 2012 il presidente Sall ha annunciato che la Casamance sarebbe stato un banco di prova per una politica di decentralizzazione avanzata.[5]
Antefatti
[modifica | modifica wikitesto]La regione di Casamance è la regione meridionale del Senegal che, sebbene collegata ad est con il Senegal, è separata dal resto del Senegal dal Gambia. I principali abitanti della regione sono membri del gruppo etnico Jola (Djiola, Diola) e molti sono cristiani o animisti, a differenza della maggioranza dei senegalesi che sono musulmani.[5] Tra i Jola è esistita la percezione di non beneficiare sufficientemente della ricchezza della regione e che Dakar, la capitale, raccogliesse la maggior parte dei profitti dai prodotti della regione.[5]
Sequenza temporale
[modifica | modifica wikitesto]Anni '70
[modifica | modifica wikitesto]Non fu prima degli anni '70 che in Casamance emerse un autentico sentimento separatista. Uno dei temi ricorrenti era relativo all'economia della regione dominata dai nordici.
Anni '80
[modifica | modifica wikitesto]Negli anni '80, il risentimento per l'emarginazione e lo sfruttamento della Casamance da parte del governo centrale senegalese diede origine a un movimento di indipendenza sotto forma dell'MFDC, che venne ufficialmente fondato nel 1982. Questo movimento iniziale riuscì a unire gli Jola e altri gruppi etnici nella regione, come Fulani, Mandinka e Bainuk, e portò alla crescente resistenza popolare contro il governo e i nordici. L'MFDC iniziò a organizzare manifestazioni e alla fine le tensioni si intensificarono in massicci disordini nel dicembre 1983. Il governo senegalese rispose dividendo la provincia di Casamance in due regioni più piccole, probabilmente per dividere e indebolire il movimento indipendentista. Ciò acuì di più le tensioni e il governo iniziò a imprigionare i leader dell'MFDC come Augustin Diamacoune Senghor.[7]
Un altro fattore nel crescente movimento indipendentista fu il fallimento della Confederazione del Senegambia nel 1989, che aveva beneficiato economicamente la Casamance e la cui fine non fece che peggiorare la situazione della popolazione della regione.[7]
Anni '90
[modifica | modifica wikitesto]La scoperta del petrolio nell'area incoraggiò l'MFDC ad organizzare manifestazioni di massa per l'indipendenza immediata nel 1990, che furono brutalmente soppresse dai militari senegalesi. Ciò spinse l'MFDC alla ribellione armata. I seguenti combattimenti furono violenti e 30.000 civili rimasero sfollati nel 1994. Diversi cessate il fuoco furono concordati durante gli anni '90, ma nessuno durò a lungo, spesso anche a causa di divisioni all'interno dell'MFDC da un punto di vista etnico e tra coloro che erano pronti a negoziare e coloro che si rifiutavano di deporre le armi. Nel 1992 l'MFDC si divise in due gruppi principali, Front Sud e Front Nord. Mentre il Front Sud era dominato dagli Jola e chiedeva la piena indipendenza, il Front Nord includeva sia gli Jola che i non Jola ed era pronto a lavorare con il governo sulla base di un accordo fallito del 1991.[9] Un altro cessate il fuoco nel 1993 portò alla rottura dei gruppi ribelli intransigenti dall'MFDC. Questi continuarono ad attaccare i militari.[8]
L'esercito senegalese trasferì migliaia di soldati dalle province settentrionali alla Casamance nel 1995 nel tentativo di reprimere definitivamente la rivolta. I soldati del nord spesso maltrattavano la popolazione locale e non facevano differenza tra coloro che sostenevano i ribelli e i lealisti del governo. In quel momento, i ribelli avevano stabilito basi in Guinea-Bissau, e secondo quanto riferito, venivano riforniti di armi dal comandante militare della Guinea-Bissau Ansumane Mané. Il presunto sostegno di Mané ai separatisti fu un fattore che portò alla guerra civile della Guinea-Bissau scoppiata nel 1998. Quando il Senegal decise di inviare i suoi militari in Guinea-Bissau per combattere per il governo locale contro le forze di Mané, quest'ultima e l'MFDC formarono una piena alleanza. I due movimenti ribelli iniziarono a combattere fianco a fianco sia in Senegal che in Guinea-Bissau.[8] Sebbene il governo della Guinea-Bissau sostenuto dal Senegal sia crollato, nel maggio 1999 fu rovesciato anche il seguente regime simpatizzante dell'MFDC.[10]
In una rinnovata offensiva contro i separatisti tra aprile e giugno 1999, i militari senegalesi bombardarono per la prima volta la capitale de facto della Casamance, Ziguinchor, provocando numerose vittime civili e lo sfollamento di 20.000 persone lungo il confine Senegal-Guinea-Bissau. Da quel momento in poi, i combattimenti si svolsero principalmente nella regione orientale di Kolda. I colloqui di pace ripresero nel dicembre 1999, con i rappresentanti senegalesi e dell'MFDC che si incontrarono a Banjul. Entrambe le parti concordarono un cessate il fuoco.[11]
Anni 2000
[modifica | modifica wikitesto]I colloqui di pace ripresero nel gennaio 2000, con entrambe le parti che cercavano di porre fine al conflitto militare e miravano a ripristinare la normalità politica ed economica nella Casamance. Si svolsero discussioni sulla trasformazione dell'MFDC in un partito politico, ma i colloqui furono ostacolati dalla faziosità dell'MFDC e dal rifiuto del governo senegalese di considerare persino l'indipendenza della Casamance. Di conseguenza, i colloqui di pace fallirono nel novembre 2000, con il leader dell'MFDC Augustin Diamacoune Senghor che dichiarò che il suo gruppo avrebbe continuato a combattere fino al raggiungimento dell'indipendenza. Un nuovo cessate il fuoco venne concordato nel marzo 2001, ma non riuscì a fermare il conflitto. Nel frattempo, si acuirono le divisioni interne all'interno dell'MFDC per via degli obiettivi del movimento e sulla leadership di Senghor.[11]
Il 30 dicembre 2004, le due parti del conflitto firmarono una tregua che durò fino all'agosto 2006.
Dopo la scissione, nella regione continuarono i combattimenti a basso livello. Un altro ciclo di negoziati si svolse nel 2005.[12] I suoi risultati, tuttavia, furono ritenuti di parte e di conseguenza gli scontri armati tra le fazioni dell'MFDC e l'esercito continuarono nel 2006, spingendo migliaia di civili a fuggire attraverso il confine verso il Gambia.[13]
Il 13 gennaio 2007 morì a Parigi Augustin Diamacoune Senghor, il leader carismatico dell'MDFC. La sua morte accelerò la divisione dell'MDFC, che si divise in tre principali fazioni armate, guidate rispettivamente da Salif Sadio, Caesar Badiatte e Mamadou Niantang Diatta.
Il 9 giugno 2009, militanti radicali dell'MDFC uccisero un ex membro dell'MFDC, che all'epoca stava servendo come mediatore del processo di pace.
Anni 2010
[modifica | modifica wikitesto]Nell'ottobre 2010, una spedizione illegale di armi dall'Iran fu sequestrata a Lagos, in Nigeria. Il governo senegalese sospettava che le armi fossero destinate alla Casamance, e per tale questione richiamò il suo ambasciatore a Teheran.[15] Pesanti combattimenti si verificarono nel dicembre 2010, quando circa 100 combattenti dell'MDFC tentarono di prendere Bignona a sud del confine con il Gambia supportati da armi pesanti, come mortai e mitragliatrici. Furono respinti con diverse vittime dai soldati senegalesi che ebbero sette morti durante lo scontro.[16]
Il 21 dicembre 2011, i media senegalesi riferirono che 12 soldati erano stati uccisi nella regione senegalese della Casamance a seguito di un attacco dei ribelli separatisti a una base militare vicino alla città di Bignona.[17]
Tre soldati vennero uccisi durante uno scontro a 50 chilometri (31 mi) a nord di Ziguinchor. Il 14 febbraio 2012 il governo senegalese attribuì la colpa del conflitto ai separatisti nella regione.[18]
Due attacchi si verificarono l'11 e il 23 marzo 2012, con il bilancio di 4 soldati uccisi e 8 feriti.[19]
A partire dall'aprile 2012, la pace nella Casamance divenne una priorità assoluta per l'amministrazione del presidente senegalese Macky Sall.[20]
Il 3 febbraio 2013, quattro persone furono uccise durante una rapina in banca perpetrata dall'MFDC nella città di Kafoutine; i ribelli rubarono un totale di 8.400 dollari.
Il 1º maggio 2014, uno dei leader del Movimento delle Forze Democratiche della Casamance, Salif Sadio, intentò un processo per arrivare alla pace e dichiarò un cessate il fuoco unilaterale dopo i colloqui segreti tenuti in Vaticano tra le sue forze e il governo del Senegal guidato da Macky Sall.
Yahya Jammeh, politico noto per il reclutamento di combattenti dell'MFDC nell'esercito gambiano, secondo quanto riferito i militari gambiani sarebbero stati più inclini a essere fedeli al regime di Jammeh rispetto al popolo del Gambia.[21] Durante l'intervento militare dell'ECOWAS del 2017 in Gambia, i ribelli dell'MFDC sostennero le forze pro-Jammeh.[22]
I membri del gruppo furono sospettati di essere coinvolti in un'imboscata che provocò la morte di 13 persone vicino alla città di Ziguinchor il 6 gennaio 2018.[23] I leader dell'MFDC, tuttavia, negarono la responsabilità per l'uccisione in stile esecuzione, che secondo loro era collegata alla raccolta illegale di legno di teak e palissandro dalla regione boscosa.[24]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b Minahan, 2002, pp. 400, 401.
- ^ Christophe Châtelot, Boundaries of Casamance remain blurred after 30 years of conflict, in The Guardian, 19 giugno 2012.
- ^ Casamance: no peace after thirty years of war - GuinGuinBali.com, in Guinguinbali.com. URL consultato il 5 febbraio 2021 (archiviato dall'url originale il 3 gennaio 2013).
- ^ Harsch, Ernest, Peace pact raises hope in Senegal, su un.org, aprile 2005.
- ^ a b c d e f g UCDP - Uppsala Conflict Data Program, su ucdp.uu.se. URL consultato il 4 febbraio 2021.
- ^ Panara Carlo, Casamance Conflict, in Max Planck Encyclopedia of Public International Law, Oxford University Press, 2007-11. URL consultato il 29 febbraio 2024.
- ^ a b Minahan, 2002, p. 399.
- ^ a b c Minahan, 2002, p. 396.
- ^ Minahan, 2002, pp.399-400.
- ^ Foucher, Vincent (2019). "The Mouvement des Forces Démocratiques de Casamance: The Illusion of Separatism in Senegal?". In Lotje de Vries; Pierre Englebert; Mareike Schomerus (eds.). Secessionism in African politics aspiration, grievance, performance, disenchantment. Cham: Palgrave Macmillan. pp. 265–292. ISBN 978-3-319-90205-0.
- ^ a b Minahan, 2002, p. 401.
- ^ (EN) Senegal to sign Casamance accord, 30 dicembre 2004. URL consultato il 4 febbraio 2021.
- ^ (EN) Attacks in Casamance despite peace move, su The New Humanitarian, 5 dicembre 2006. URL consultato il 5 febbraio 2021.
- ^ Business & Financial News, U.S & International Breaking News, su reuters.com. URL consultato il 5 febbraio 2021.
- ^ (EN) Senegal recalls Tehran ambassador over arms shipment, su bbc.co.uk, 15 dicembre 2010. URL consultato il 12 ottobre 2014.
- ^ (EN) Senegalese army sweeps Casamance after fight with separatists, su RFI, 28 dicembre 2010. URL consultato il 5 febbraio 2021.
- ^ (EN) 12 Soldiers killed as violence in Senegal continues, su sabc.co.za. URL consultato il 12 ottobre 2014 (archiviato dall'url originale il 18 ottobre 2014).
- ^ Senegalese troops 'killed in attack', 14 febbraio 2012.
- ^ Soldier Killed, Four Wounded In Senegal Rebel Attack, 23 marzo 2012.
- ^ MEDIATION AND SUPPORT FOR THE PEACE PROCESS IN CASAMANCE – SENEGAL, su hdcentre.org. URL consultato il 2 novembre 2016 (archiviato dall'url originale il 23 settembre 2020).
- ^ (EN) Gambia: Why the army may be the key to getting Jammeh to step down, su African Arguments. URL consultato il 17 febbraio 2018.
- ^ (EN) Gambia: Jammeh 'Imports Rebels', su allafrica.com. URL consultato il 19 gennaio 2017.
- ^ (EN) Gunmen kill at least 13 in Senegal's Casamance region, su france24.com. URL consultato il 6 gennaio 2018.
- ^ (EN) Rebels blame Casamance massacre on logging feud, su pulse.ng, 8 gennaio 2018. URL consultato il 27 gennaio 2018.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- James Minahan, Encyclopedia of the Stateless Nations: Ethnic and National Groups Around the World, Greenwood Publishing Group, 2002.
- Aïssatou Fall, Understanding The Casamance Conflict: A Background, 2011 (archiviato dall'url originale il 14 aprile 2013).
- Eric Morier-Genoud, "Sant 'Egidio et la paix. Interviste de Don Matteo Zuppi e Ricardo Cannelli ", _ LFM. Sciences sociales et missions _, ottobre 2003, pagg. 119–145
- Foucher, Vincent, "The Mouvement Des Forces Démocratiques de Casamance: The Illusion of Separatism in Senegal?", In Secessionism in African Politics Aspiration, Grievance, Performance, Disenchantment, ed. di Lotje de Vries, Pierre Englebert e Mareike Schomerus (Cham: Palgrave Macmillan, 2019), pp. 265–92
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